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Nell'istituto due microimprese che produranno per bar e ristoranti
Dietro le sbarre nasce l'Opera ice cream
I detenuti producono gelati e allevano quaglie: nuove idee per entrare nel mercato del lavoro. E per godere dei benefici di legge
STRUMENTI
Angelo, 39 anni, è impegnato nella preparazione dei gelati. Sa benissimo, però, che imparare quell'arte non gli servirà a nulla fuori di lì perchè, spiega senza perdere il sorriso, «ho una condanna all'ergastolo». Tuttavia, racconta, «è un'occasione per me. Dopo 13 anni mi ha ridato il sorriso». Come lui, altri 19 detenuti, tutti con pene elevate, non si sono lasciati sfuggire quella possibilità e ora alcuni lavorano in un laboratorio di gelateria, altri in una singolare fattoria che produce uova di quaglia, strutture realizzate entrambe all'interno del carcere di Opera, alle porte di Milano. Dietro le sbarre di quell'istituto di massima sicurezza, il più grande d'Europa, famoso anche perchè in una delle sue celle è rinchiuso Totò Riina, tra poco verranno prodotti in serie mousse, gelati e zuccotti, creati artigianalmente in uno spazio di 300 metri quadri dotato di 3 celle frigorifere e tini di conservazione. Andranno poi in vendita in bar e ristoranti, così come saranno sul mercato le uova di quaglia, dal gusto più delicato di quelle di gallina, prodotte allevando gli animali in un orto situato proprio davanti a un'ala della Casa di reclusione.

Le iniziative, realizzate grazie al supporto della Provincia di Milano, vedono coinvolte l'azienda Jobinside e l'associazione onlus Il Due. Simpatici e carichi di autoironia i nomi scelti per i progetti: «Aiscrim ... prigionieri del gusto» e «La Fattoria di Al Cappone». «La verità - spiega il direttore del carcere, Giacinto Siciliano - è che si può coniugare l'esigenza di sicurezza con quella della riabilitazione». Un'iniziativa che ha avuto anche il sostegno del Provveditore lombardo dell'amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, del Garante dei diritti dei detenuti, Giorgio Bertazzini e del sindaco di Opera, Ettore Fusco.

Il carcere, nel quale sono rinchiuse circa 1300 persone (capienza massima di oltre 1500), tra cui 200 ergastolani, 246 condannati per reati di stampo mafioso (61 dei quali al regime del 41 bis), offre già possibilità di lavoro nei laboratori che si trovano all'interno a circa 450 persone. «Noi dell'alta sicurezza però - ha raccontato Elio, condannato a 13 anni, pasticciere - non abbiamo mai avuto possibilità di fare nulla. Ora la speranza è che i nostri dolci li possano assaggiare anche gli altri detenuti. Anche se per regola qua si può mangiare gelato solo sei volte all'anno». Di gelatai ne arriveranno presto altri dieci. Come loro anche gli allevatori sono stati scelti dopo un colloquio. «Per ora - spiega Saimir, albanese in attesa di processo e con la prospettiva di stare dentro a lungo - stiamo allevando 100 quaglie, che arriveranno presto a 900». Ivan ne tiene in mano una e l'accarezza («è affezionata a me») proprio davanti alla capanna-fattoria, mentre gli altri detenuti dall'alto, affacciati alle sbarre delle celle, li guardano. «Noi qua - spiega - siamo dei privilegiati, lavoriamo sei ore al giorno con un contratto regolare e uno stipendio. Sono sicuro, quando uscirò alleverò quaglie». Fabio, invece, non usa giri di parole: «Lo facciamo anche per i benefici di legge, cosa credete. Il mio futuro? Nell'azienda di mio padre, se mi vorrà ancora».
16 luglio 2008